Oscure sparizioni: Discorsi sull'estinzione delle razze primitive, 1800-1930

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Titolo originale:

Dark Vanishings: Discourse on the Extinction of Primitive Races, 1800-1930

Contenuto del libro:

Patrick Brantlinger esamina l'opinione comunemente diffusa nel XIX secolo secondo cui tutte le razze "primitive" o "selvagge" del mondo erano destinate prima o poi all'estinzione. La propensione alla guerra e il presunto cannibalismo erano considerati contemporaneamente nobili e suicidi, acceleratori della caduta di altre razze dopo il contatto con la civiltà bianca.

Brantlinger trova al centro di questa convinzione lo stereotipo del selvaggio che si autoestingue, ovvero l'idea che la "selvaggeria" sia una spiegazione sufficiente per la scomparsa definitiva dei "selvaggi" dal grande teatro della storia mondiale. Secondo Brantlinger, gli umanitari vedevano il problema negli stessi termini di inevitabilità (o di sventura) di scienziati come Charles Darwin e Thomas Henry Huxley e di propagandisti dell'impero come Charles Wentworth Dilke e James Anthony Froude. Brantlinger analizza la carestia irlandese nel contesto delle idee e delle teorie sulle razze primitive in Nord America, Australia, Nuova Zelanda e altrove.

Egli mostra che alla fine del XIX secolo, soprattutto grazie all'influenza del movimento eugenetico, il discorso dell'estinzione fu ironicamente applicato alla "grande razza bianca" in varie formulazioni apocalittiche. Con l'ascesa del fascismo e del nazismo e con il graduale rinnovamento delle popolazioni aborigene in alcune parti del mondo, a partire dagli anni Trenta l'idea stereotipata di "impatto fatale" cominciò a sgretolarsi, così come varie forme più generali di pensiero basato sulla razza e sul darwinismo sociale.